Bacco di Caravaggio, oggi agli Uffizi. È il 1922 quando Matteo Marangoni si accorge che sulla caraffa di vino davanti al personaggio é riflessa l'immagine di un altro uomo, giovane, con i capelli crespi e le labbra carnose.
Ottantacinque anni dopo, strumentazioni scientifiche confermano l'impressione di Marangoni: é un pittore intento a dipingere a cavalletto, presumibilmente lo stesso Caravaggio. Ritrattosi in un riflesso come prima aveva fatto Van Eyck, e come in seguito avrebbe fatto Velázquez, in due delle opere più famose di tutti tempi.
Non é solo un virtuosismo, é una dichiarazione programmatica: dipingere il vero significa farsi suo fedele riflesso, senza interporre altro. Competere con il riflesso é la massima sfida che può porsi un pittore, tenuto a dare corpo a un effetto - la trasparenza - sostanzialmente ottico, come tale, quindi, incorporeo.
Credo che la pittura del siciliano Pietro Alessandro Trovato, abilissimo creatore di nature morte in cui gli oggetti di vetro la fanno spesso da padroni, cominci da dove l'aveva lasciata il riflesso del Bacco. Per Trovato la resa della trasparenza, motivo cruciale del suo discorso artistico, non é un semplice gioco di prestigio, da esibire nelle certezza di destare sempre stupore in chi lo osserva.
Il problema della trasparenza é il succo stesso di ogni poetica che si proponga di aderire alla realtà in una maniera talmente accentuata da annullarsi nella flagranza degli oggetti che rappresenta, aspirando all'assenza di ogni elemento riferibile direttamente al fattore umano. Nel far passare lo sguardo così come nel trattenere il riflesso, il vetro denuncia la molteplice dimensione, non solo spaziale, in cui la visione va collocata: c'é il visibile, compreso in un "davanti" che può venire più o meno spalmato nel senso della profondità, ma c'è anche l'invisibile, la quarta parete a cui alludeva l'autoritratto del Bacco, dove l'umano, rinnegato in ciò che é più manifesto, rivela di essersi solo nascosto, come il più scaltro dei marionettisti.
È questo l'intento di Trovato, fingere un mondo di cose, ateo, purissimo, in cui tutto risulti perfettamente concluso e autosufficiente. Dall'altra parte della scena, ci sarà sempre un imperfetto uomo a provarne piacere. Prof. Vittorio Sgarbi |